È
la storia di due sconosciuti che si scambiano sguardi fugaci sul tram. Lei
osserva lui fra la gente, è come un bisbiglio nella sua mente, si vizia con
bisbigli e sussulti di scelte sbagliate: è in un periodo di crisi esistenziale.
Non trova lavoro, insegue colloqui di lavori fantomatici, svolge attività
ricreative per riempire i suoi buchi. Scorre il tram, fruscia fra i frammenti di vetro. Una
fermata, due. Lei scende. È la città che si fa vita e si avvolge caduca sui
cappotti e i cachemire, la città che vive
ossequiosa delle melodie, delle alternanze di suoni e silenzi ovattati. Lui
scende, ostenta sicurezza nel suo lavoro occasionale di designer interiore. Ha paura della sicurezza e si culla in
essa. Tanto trema tornio nel giallo dei viali tanto lo turba la
routine che inghiotte a grandi morsi la luna, coinvolgendo tutti in un valzer estremo.
La
gente si muove con cura, reinventandosi, come all’opera: niente più visoni o
pellicce ma cappottini discreti e mongomery rossi. Le luci della città prima
puntini poi frequenze ad alti
toni. Trasparenze nella testa, paura di chiedere. Prendi il parapendio e
plana nel blues del rischio.
Enoch
è lo stesso tram - tram tutta la vita.
Coincidenze,
pause, frenesie. Conosci i tuoi posti? Con la lentezza di un gatto ti avvicini
e osservi il tuo capo: sessantenni le occhiaie, arate profondamente sulla
pelle. Conosci tutti i suoi dettagli, tutte le mattine conti i bottoni della
sua giacca. Con cura riponi nelle tue labbra un sorriso di circostanza.